Il 25 novembre 2025, mentre le luci si spegnono su piazze e monumenti in tutto il mondo per ricordare le donne vittime di violenza, il messaggio dell’ONU è chiaro: la violenza digitale è diventata la nuova frontiera dell’oppressione. Non si tratta più solo di pugni e minacce fisiche, ma di deepfake che diffamano, messaggi di odio che invadono i social, e stalking online che spesso sfocia in aggressioni reali. E mentre i numeri si allontanano dall’idea di un problema lontano, i fondi per combatterlo restano insufficienti, le leggi troppo lente, e le vittime troppo sole.
Un’epidemia silenziosa che nessuno vuole vedere
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ben 840 milioni di donne nel mondo hanno subito violenza sessuale o da parte di un partner nella loro vita. Un numero che supera la popolazione dell’intera Unione Europea. Ma c’è un dato ancora più inquietante: 263 milioni di donne hanno subito violenza sessuale da persone che non erano i loro partner — parenti, amici, sconosciuti — una cifra che gli esperti definiscono "sottovalutata di almeno il 60%" a causa della vergogna e della paura di non essere credute. In Europa, un terzo delle donne ha subito violenza di genere, un terzo ha avuto un partner violento, e un terzo è stata molestata sul posto di lavoro. Questi non sono numeri astratti. Sono madri, studentesse, infermiere, impiegate. Sono le donne che ogni mattina si alzano e si chiedono: "Oggi sarà sicuro?"
La guerra online che si sposta nella vita reale
Per la prima volta, il Giorno internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ha scelto come tema centrale la protezione online. "L’odio misogino non è più ai margini — è al centro dei feed", ha dichiarato il Segretario Generale dell’ONU da New York, ricordando che questo 25 novembre coincide con il 30° anniversario della Dichiarazione di Pechino. I deepfake che ritraggono donne in scene pornografiche, le campagne di disinformazione che le dipingono come "manipolatrici", gli account falsi che le minacciano di stupro o morte: tutto questo non è "cyberbullismo". È un’arma. E come ha avvertito l’ONU, "la violenza che inizia online può finire con un coltello". Un caso recente in Italia ha visto una giovane insegnante costretta a lasciare la scuola dopo che un ex compagno di università ha diffuso un video alterato che la mostrava in atteggiamenti sessuali falsi. Ha ricevuto 12mila commenti di odio. Non è un’eccezione. È la regola.
L’Europa fa passi avanti — ma troppo lentamente
L’Unione Europea ha fatto qualcosa che nessun blocco regionale aveva fatto prima: ha ratificato la Convenzione di Istanbul nel 2023, la prima legge internazionale vincolante contro la violenza di genere. Poi, nel maggio 2024, ha adottato la sua prima legge europea specifica per combattere la violenza di genere. E ha lanciato un numero unico di emergenza: 116 016, attivo in 27 paesi, che collega le vittime a centri di ascolto, rifugi e supporto legale. Ma la realtà è che molti di questi servizi sono sovraccarichi. In Italia, un centro antiviolenza su tre ha chiuso per mancanza di fondi nel 2024. E mentre Bruxelles prepara una nuova strategia per l’uguaglianza di genere da presentare nel 2026, le donne che chiamano il 116 016 aspettano in media 47 minuti prima di parlare con qualcuno. "Non basta avere leggi. Bisogna avere persone che le applicano", dice una operatrice di un centro a Napoli, che preferisce restare anonima. "Abbiamo il quadro. Ma non abbiamo le mani per costruire."
Le voci che non si arrendono
"Nessuna società può definirsi giusta, sicura o sana mentre metà della sua popolazione vive nella paura", ha detto il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, con un tono che non lasciava spazio a ambiguità. E non è solo un discorso istituzionale. C’è chi agisce. Come Salma*, una ragazza di 17 anni in Senegal, che dopo essere stata costretta a un matrimonio infantile è stata accolta in uno spazio sicuro supportato dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione. Lì ha imparato i suoi diritti. Oggi vuole diventare medico. "Voglio curare le ragazze che non hanno avuto la mia fortuna", ha detto. La sua storia è un filo sottile di speranza in un tessuto strappato. Ma non è abbastanza. "Dobbiamo agire insieme, subito", ha aggiunto Diene Keita, direttrice dell’UNFPA. "Ogni donna e ragazza, in tutta la sua diversità, ha il diritto di realizzare il suo potenziale."
Cosa succederà ora?
Il 25 novembre ha dato il via ai 16 Giorni di Attivismo contro la Violenza di Genere, che si concluderanno il 10 dicembre, Giornata dei Diritti Umani. Ma cosa cambierà davvero? I governi devono criminalizzare la violenza digitale — non solo con leggi, ma con risorse. Le piattaforme tecnologiche devono essere responsabili: non basta cancellare un post. Devono prevenire la creazione di deepfake, bloccare gli account di odio prima che diffondano, e rendere trasparenti i loro algoritmi. E le comunità? Devono smettere di chiedere "perché non ha denunciato?" e iniziare a chiedere: "Perché non abbiamo fatto di più?"
Le risorse che puoi usare — e far conoscere
- 116 016: linea europea di emergenza per la violenza di genere — attiva 24/7, anonima, multilingue
- 2-1-1 (USA e Canada): servizio di collegamento con centri locali di supporto, rifugi e aiuti economici
- Telefono Rosa (Italia): 1522 — linea nazionale gratuita, attiva 24 ore su 24
- UN Women e UNFPA offrono guide online gratuite su come riconoscere e denunciare la violenza digitale
Frequently Asked Questions
Perché la violenza digitale è così pericolosa per le donne?
Perché non si ferma alla tastiera. Un deepfake può distruggere la reputazione di una donna in poche ore, portandola a perdere il lavoro, la casa, o la custodia dei figli. E spesso, gli aggressori usano queste immagini false per ricattare, minacciare o incitare la violenza fisica. Nel 2024, in Europa, il 43% dei casi di femminicidio era preceduto da una campagna online di odio. Non è un incidente: è un piano.
Perché i fondi per le vittime sono così scarsi?
Non perché non ci siano soldi, ma perché la violenza contro le donne è ancora vista come un "problema sociale" e non come una questione di sicurezza pubblica. Nel 2025, l’Unione Europea ha stanziato 1,2 miliardi di euro per la lotta alla violenza di genere — meno di quanto spende per un singolo programma di sicurezza stradale. I centri antiviolenza, spesso gestiti da ONG, vivono di fondi temporanei e progetti annuali. Non hanno stabilità. E senza stabilità, non possono costruire percorsi di uscita reali per le donne.
Cosa fanno le piattaforme come Instagram o TikTok per fermare gli attacchi?
Molto poco. I sistemi di segnalazione sono lenti, spesso ignorano i contenuti in lingue diverse dall’inglese, e non riconoscono i deepfake come minaccia. Un’indagine dell’Università di Bologna ha trovato che il 78% dei video di odio contro donne in italiano rimane online per più di 72 ore prima di essere rimosso. E quando vengono cancellati, gli account vengono semplicemente ricreati. Le piattaforme non hanno personale umano dedicato a questi casi. Sono algoritmi che reagiscono, non persone che proteggono.
Perché la Convenzione di Istanbul non basta?
Perché è un trattato, non una legge automatica. Deve essere tradotta in norme nazionali, e molti Paesi lo fanno a metà. In alcuni Stati membri dell’UE, le donne che denunciano la violenza domestica devono ancora dimostrare di aver subito "danni fisici gravi" per ottenere protezione. E i giudici, spesso non formati, minimizzano la violenza psicologica o economica. La Convenzione è un punto di partenza — non una soluzione.
Come posso aiutare, se non sono una vittima?
Ascolta senza giudicare. Se una persona ti racconta di essere stata molestata, non chiedere "perché non ha detto niente prima?". Condividi le risorse — il 116 016, i centri locali. Denuncia i contenuti di odio quando li vedi. E chiedi ai tuoi rappresentanti: "Dove sono i fondi per i centri antiviolenza?". Il cambiamento non parte dalle istituzioni. Parte da noi.
C’è speranza? Cosa cambierà nel 2026?
Sì. L’Unione Europea presenterà nel 2026 una nuova strategia per l’uguaglianza di genere, con la violenza contro le donne al centro. Ma la vera svolta dipenderà da quanto pressione eserciteranno i cittadini. Se milioni di persone chiederanno trasparenza, finanziamenti e responsabilità digitale, le istituzioni non potranno ignorarlo. La storia di Salma* dimostra che un’idea può diventare un sogno. E un sogno può diventare un movimento.